UN CUORE FERROSO
Da sempre abitudinario e metodico il ragionier Giorgio Belletti era arrivato alla fatidica soglia dei 50 anni senza aver mai avuto una bella soddisfazione da ricordare.
A dire il vero ne aveva avute, ma essendo una persona pessimista di natura si era ormai convinto di aver vissuto una vita insulsa.
Nonostante la sua fosse una depressione cronica, non faceva nulla per uscirne o per provare a crearsi nuovi stimoli.
Gli andava bene così.
Una vita passata a fare sempre le stesse cose, finita la scuola superiore aveva deciso di smettere di studiare, aveva trovato lavoro presso lo studio legale del commercialista Pinzon e da lì non si era più mosso.
Ogni santissimo giorno da trentadue anni si svegliava alle 7.15, aspettava il tram delle 7.42, beveva un caffè al bar “Giordano” e alle 8.15 entrava in ufficio.
Se era inverno si toglieva la giacca posizionandola al terzo posto da destra dell’attaccapanni inchiodato al muro, altrimenti, ma questo lo faceva sia d’inverno che d’estate, si sfilava di dosso gli occhiali da sole (che utilizzava anche in caso di pioggia) appoggiandoli all’interno del cassetto di mezzo
della propria scrivania, dopo aver piegato con cura le due stanghette, partendo da quella dell’orecchio sinistro.
Poi si sedeva, accendeva il PC, baciava la foto della sua compagna storica posizionata a destra dello schermo ed era pronto a lavorare per le 8.25.
Mai un ritardo, mai un giorno di assenza.
In pratica un automa che per una vita intera aveva continuato ad utilizzare le stesse e medesime procedure del giorno precedente e di quello precedente ancora.
Avrebbe continuato a vivere così tristemente per i seguenti quindici anni senza però mai lamentarsi, ma più amaramente senza la consapevolezza di avere all’interno del suo torace un cuore spento, arrugginito e inutilizzabile, incapace di parlare, impossibilitato a pulsare rumorosamente nel tentativo di mostrare la via dei sogni.
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