PENSIERI INCAZZATI DI UN SALVATAGGIO ILLUSO
A volte le cose meravigliose ce le abbiamo davanti e non ce ne accorgiamo.
Che si tratti di un paesaggio naturale, di una persona o di un emozione, poco importa. Il più delle volte ce la lasciamo sfuggire.
La voglia di viaggiare insita in ognuno di noi ci fa molto spesso perdere la concentrazione su ciò che vediamo tutti i giorni, e che quindi consideriamo superfluo, perché ormai abitudinario.
Viaggiare piace a chiunque.
Per me viaggiare non è tanto vedere in una settimana una nazione nuova chiuso in un villaggio, giusto per dire che in Egitto ci sono stato anch’io.
Viaggiare, secondo me, è una metafora, un viaggio all’interno di sé stessi, per capirsi, per conoscersi meglio, per rafforzare il proprio carattere.
Se potessi viaggerei tutta la vita, e potrei farlo, il mio problema è il nascondermi dietro falsi ostacoli che mi permettono di scusarmi con me stesso e con gli altri trovando un pretesto per non partire.
Parlo troppo di queste cose, quando invece dovrei pagare un biglietto ed ecco fatto…
Quando sono in viaggio mi ingegno, quando sono a casa mi fermo.
Sento quella voce dentro di me che parte dal cuore e ogni volta tento di soffocarla, respingendola e ingoiandola, rimandando i miei sogni ad un futuro che, molto probabilmente, non mi permetterà più di realizzarli, portando letteralmente alla morte i pensieri di un giovane sognatore romantico, quale sono in questo momento.
Mi laureerò, lavorerò otto ore davanti a un computer ed avrò una settimana di ferie da spendere ogni anno nello stesso posto; per capire finalmente che sono stato uno stronzo.
Seguire il cuore, SEMPRE.
Cos’avrà da invidiare un tramonto Australiano sull’Oceano Pacifico a una serata a Viserba Mare passeggiando scalzo in compagnia di una “peperina” di Cerasolo sulla battigia bagnata dal mare Adriatico? Può darsi nulla.
Ma l’andare in Australia vorrebbe dire aver seguito il cuore, significherebbe ascoltare i propri desideri, una dote difficile da trovare in un uomo.
Rimini mi sta stretta.
Mi guardo intorno e vedo degli automi disposti a fare le stesse cose per una vita intera, io non ce la faccio.
Quando sono a casa la mia mente viaggia a 20, quando sono in viaggio a 100.
Il problema è che alla fine mi sta bene così, l’aperitivino sulla spiaggia, l’uscita il venerdì e il sabato sera, i soliti comportamenti abitudinari che servono per passare il tempo.
Tempo prezioso.
Ho passato l’adolescenza davanti a un pc tutti i pomeriggi a giocare ai videogiochi.
Che coglione!
Bastava un poco di buona volontà e avrei potuto imparare… che ne so?!: una nuova lingua, a fare i nodi, a costruirmi un pannello solare.
L’altra sera ho mangiato a casa da solo, e ho scoperto dopo vent’anni che, senza il rumore della televisione in sottofondo, anche da casa mia se passa il treno, si può sentire il suo sferragliare sulle rotaie.
Offuscato per una vita intera da una scatola in grado di invornirti con i suoi messaggi promozionali da dimenticare dopo un mese, per fare posto a quelli nuovi.
I centri commerciali, il consumismo; montagne di merda inutile buttata su uno scaffale per essere usata e gettata.
Voglio imparare a costruire una pila.
I soldi.
Il Dio denaro, quella carta colorata che passa di mano in mano per far felice provvisoriamente colui che la riceve.
Ci vuole più umiltà.
Se hai il colore della maglia non abbinato con la cintura sei uno sfigato, se hai le mutande di Gucci sei un figo.
Capiremo troppo tardi.
Ma è giusto così, dobbiamo morire affogati nella nostra merda.
Ci lamentiamo del mare sporco e siamo i primi che ci buttiamo il detersivo dentro.
Bravi!
Tifiamo tutti insieme l’Italia ai mondiali; esultiamo dopo un gol di Totti, festeggiamo alla rotonda, e, mi raccomando, scordiamoci della mafia e delle pastette organizzate da Moggi & Co.
Ho voglia di scappare.
Da che cosa?
Non so, dalla monotonia, dalla falsità, dai pregiudizi e dagli schemi.
Andare a cercare lontano quello che ho vicino, quello che ho dentro, per riuscire a godermi di più le piccole cose, per gioire di un successo personale, per soffermarmi sulla bellezza di casa mia, per ringraziare di essere nato dove sono nato.
E’ difficile da spiegare, ma è così.
Sicuramente imparerò di più parlando col mio vicino di casa piuttosto che interrogando un signore cubano incontrato nella Rush-hour di New York in un treno off-Peak di ritorno a Baldwin, però l’andare lontano mi sprona e mi permette di fare più attenzione alle persone.
Combattere la timidezza, parlare con persone estranee per capire di chi ci si può fidare e di chi non, per avere un quadro personale per confrontare i vari soggetti, senza fermarsi solamente alla superficialità del primo impatto.
Viaggiare con la fantasia.
Tutto serve per carità!
Se non avessi lavorato in villaggio a quest’ora probabilmente non avrei capito l’importanza del tempo libero, non avrei capito la vera “amicizia”.
Gli amici.
Fai fatica a contarli su mezza mano gli amici.
Ma quelli che riesci a contare sono parte di te, senza di loro saresti diverso, da loro prendi e dai.
Un amico è quello che, anche se perdi di vista per un certo periodo di tempo, torna sempre, è sempre vicino a te, un punto di riferimento.
Come la famiglia.
Persone che vedi tutti i giorni della tua vita e con cui condividi momenti gioiosi e tristi, con cui ti incazzi e a cui rispondi male, ma in fondo gli vuoi bene, perché senza di loro la tua vita non sarebbe la stessa.
Momenti di una vita di cui non sai il continuo.
Parrucchino, dentiera, cappello rosso, mezzo culo di fuori e camminata molleggiata, anche questo signore che tutti i giorni cammina a spiaggia e saluta ha un suo perché, non vedo il motivo di denigrarlo; sì, è buffo, ma chi conosce il suo passato?
Pensiamo di essere i migliori, giudichiamo gli altri in base alle nostre regole, ma in fondo siamo uguali a tutti gli altri, burattini manovrati da una società e da uno stile di vita che tampona la nostra creatività e ci rende schiavi dei giudizi altrui.
Vaffanculo!
Dovrei smettere di pensare, ma la brezza tesa e il rumore del mare di mezzogiorno in una mattina di fine Giugno ti portano messaggi, ti ammaliano con il linguaggio della natura.
Quella natura di cui ormai fai parte, della quale non sei più un semplice spettatore.
Il Mare.
Quello spazio aperto in cui vedo libertà, che in qualche modo è lo specchio del tuo futuro, un futuro ignoto il cui orizzonte è una leggera linea marcata che divide il blu del mare con l’azzurro del cielo.
Potrei continuare per giorni a scrivere e usare la retorica per interrogarmi su cosa farò domani o tra qualche anno,ma niente è sicuro o prefissato.
Come il destino.
Qualcuno pensa che ognuno di noi abbia una vita segnata dall’inizio, che le sue azioni e i suoi comportamenti siano frutto di un disegno divino deciso a priori.
Ognuno è padrone del proprio destino, diceva un filosofo latino, che potrebbe essere Plinio il Vecchio come Sallustio; e in fondo è così, ognuno di noi ha uno scopo nella vita, ma il suo percorso cambia in base alle scelte che il singolo individuo decide per sé stesso, modellandosi, rimettendosi in gioco, riparando i propri sbagli, capendo; forse solo alla fine di tutto, che in fondo la vita è allegria, è gioia, è apprezzare tutto ciò di cui ci si è lamentati per una vita intera, in un costante sbottìo monotono da utilizzare per convincerci che da soli non possiamo cambiare niente, adagiandoci su cliché preconfezionati che ci permettono di nasconderci comodamente dai nostri voleri, luoghi comuni da usare per allontanare i nostri sogni.
Strana la vita.
Un giorno impari una parola nuova mai sentita e il giorno dopo chiacchierando con un estraneo la risenti, leggi un libro sull’Asia e la settimana successiva un signore conosciuto da poco attacca discorso raccontando i suoi viaggi orientali.
Sarò io che inconsciamente instrado il discorso o qualcuno mi vuole far capire qualcosa?
Perché quando sogno un lungo viaggio verso l’Oceania trovo su internet un sito di backpackers?
Strano, strano davvero….
D’altronde come diceva Eraclito: “PANTA REI”, tutto scorre; potremmo paragonare la nostra vita a un fiume nel quale l’acqua non è mai la stessa e infatti anche noi cambiamo ogni giorno, cresciamo, facciamo qualche passo indietro e ci risolleviamo, cambiando umore in base ai periodi; rattristandoci e rallegrandoci, aspettando sulla battigia un onda che ci porti via, un ondina in grado di cancellare tutto lo sporco che c’è sulla riva, per capire una volta per tutte chi siamo veramente.
Non è assolutamente una frase letta in un libro a scombinarmi i pensieri e nemmeno la storia avventuriera di un viaggiatore arricchitosi mercificando le sue esperienze all’interno di una “collana Mondatori”… il mio è un pensiero libero nato dal cuore e fermato su un foglio di carta.
Le parole non vengono capite, impossibile spiegarlo a chiunque.
Perché?
Perché è un pensiero considerato insano dalla “normalità” definito “fuori di testa” da chi vede la vita attaccato a uno schema.
E’ questione di punti di vista.
Come direbbe Einstein dipende tutto dal sistema di riferimento che prendiamo in considerazione.
Meglio tenermele per me queste cose, altrimenti potrei essere considerato insano di mente, meglio parlare con gli altri di banalità e cercare in scrittori sconosciuti qualcuno che la pensi come te, personaggi da consultare ogni mattina sulla tazza del cesso, per auto convincerti che almeno non sei l’unico pazzo sulla faccia della terra.
Passiamo la vita con gli occhi bassi, facendo il nostro compitino, accorgendoci solo di ciò che capita attorno a noi nel raggio di cinque metri quadri, senza mai alzare la testa, senza mai osservare il contrasto del cielo grigio carico di pioggia con i cumuli di nubi bianche che assumono forme strane, che cambiano fisionomia per il vento d’alta quota, somigliando a draghi, a teste cornate di tori.
Il vento spira con maggiore intensità, un gabbiano gracchia in lontananza, mi accorgo che la gente che cammina sul bagnasciuga non osserva quello che ha intorno.
Occhi bassi.
Tra qualche minuto pioverà.
Stiamo attenti a non bagnarci, per favore.
Leave a Comment