IL FRATE GIANNESCHI
Si mise una mano in tasca, rovistò qualche secondo trovando prima il contatto con il portafoglio e poi quello con il telefonino, ma non era quello che cercava…
Scostò i due oggetti afferrando con precisione quel piccolo cilindro di plastica, la sua penna…
Si sentiva giù di morale quel giorno, così decise di scrivere, per rilassarsi un po’.
Gianfranco Neschini, in arte Gianneschi (almeno così lo chiamavano gli amici) aveva avuto una giornata di merda!
Capita…
Prese la penna la posò in verticale verso le montagne, chiuse l’occhio sinistro, allineò la vista con il pollice destro (quello posizionato sul tappo della penna), prese le misure e iniziò. Era una bella storia quella che iniziò a scrivere, una mezza storia romantica, con un bell’inizio, un continuo interessante e senza una fine reale, gli era venuta a meno l’ispirazione proprio verso la fine.
Ma che ci poteva fare?
La sua forma d’arte non era vendibile, era solo un diletto personale per sfuggire dalla realtà e rimanere un po’ con sé stesso, capendosi, rilassandosi e liberando la mente. Era quello il suo modo per ricaricare il morale dopo qualche piccola sconfitta psicologica.
Gianneschi d’altronde non aveva una vera e propria famiglia, quello che faceva nella vita era cercare di tirare su il morale della gente più sfortunata di lui, quelli che si recavano da lui avevano tanti problemi, e a Gianneschi piaceva molto rincuorarli, in fondo è proprio quello il lavoro che dovrebbe svolgere un frate.
Ma a lui chi ci pensava?
Ogni giorno ascoltava tanti problemi, ma era impossibilitato a sfogare i suoi.
Effettivamente anche lui, seppur frate, era una persona. E allora scriveva, facendone una forma d’arte, scrivere lo aiutava a salire un po’ verso le nuvole, e anche se non le poteva raggiungere, almeno le osservava più da vicino.
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